sabato 10 gennaio 2015

jonas 4 capitolo

I primi ricordi

La luce del traffico fuori dalla finestra filtrava nella stanza buia, l’uomo nel letto accanto russava rumorosamente e Jonas l’aveva mandato talmente tante volte a quel paese che non aveva più la forza di gridargli contro. D’altronde non aveva la minima voglia di dormire, la seduta terapeutica della mattina aveva scosso dei ricordi che lo tormentavano, ma non riusciva ad arrivare al dunque: Lunghe gambe setose, nude, mani dalle dita affusolate e persino un perfetto decolleté, ma ogni volta che provava a concentrarsi sul volto, la donna misteriosa svaniva in modo repentino e frustrante. Lo stesso accadeva per l’uomo che moriva tra le sue braccia, a parte i tubi e il rumore dei passi, non riusciva a focalizzarsi su nulla. Scaraventò la bottiglietta dell’acqua in un impeto di rabbia: non sarebbe migliorato mai, tanto valeva che quei fantasmi abbandonassero definitivamente la sua mente:
“Infermiera!” gracchiò.
La ragazza si affacciò titubante all’uscio, gli avevano affibbiato una novellina, impacciata e timida in modo nauseante, ma almeno era carina, profumava di shampoo e sangue vero scorreva nelle sue giovani vene.
“Mi dica detective” sussurrò la ragazza, il volto in fiamme e le mani che si torcevano in grembo.
“Dammi qualcosa per dormire, questo zombie russa come un facocero!”
L’infermiera gli si avvicinò, sistemando meglio i cuscini dietro la testa.
“Puzza di morto, non sente? Voglio cambiare stanza!”
“Purtroppo non è possibile, gliel’ho già detto prima e… prima ancora” rispose fin troppo gentilmente. Gli diede una pillolina rossa porgendogli la bottiglietta, raccolta con pazienza da terra. Jonas bevve, nemmeno un minuto dopo le palpebre si chiusero quasi di schianto sotto l’effetto del potente sedativo.
Gocciolio di tubi, Jonas avanza cauto nel tunnel male illuminato, dietro di lui percepisce una presenza, non minacciosa.
“Ci siamo quasi Jackson, ora piano, non fiatare” sente la sua voce dire.
“Mi scappa da scoraggiare, ma tranquillo, non è una di quelle col botto” sussurra la voce. Conosce quella voce, la conosce bene.
“Fottiti Jackson!” sghignazza. Poi un boato da rompere i timpani e una luce abbagliante. Un attimo dopo l’uomo, giace tra le sue braccia:
“Prendi quei figli di puttana Jonas, me lo devi” rantola, mentre i denti rossi di sangue lasciano uscire schiuma disgustosa dalle labbra piene, che già iniziano a contrarsi in una smorfia mortale.
“Cazzo!” urlò sedendosi di scatto “Jackson! Malcom Jackson” il ricordo bruciava, scolpito chiaramente nella sua mente dolorante. “No” sussurrò afferrandosi il capo.
“Buongiorno!” La dottoressa Savini era comparsa come dal nulla, seguita dall’ormai onnipresente poliziotto baffuto. Sorrideva e a lui venne voglia di strangolarla e cancellare quel sorrisetto dal volto perfettamente truccato.
“Era la mia spalla”
“Prego?” chiese la donna.
“L’uomo morto, nel mio incidente, ero in servizio vero? Voglio i fascicoli, voglio sapere che è successo e a che caso lavoravamo”
L’uomo con i baffi si sfregò le mani, visibilmente soddisfatto. Ma la dottoressa scosse il capo:
“A suo tempo, deve ricordarsi da solo, non le fa bene sovraccaricarsi di informazioni, che possono generare falsi ricordi”
“Voglio un altro dottore, un uomo, lei non mi sa guarire, anzi, lei è una perfetta imbecille, mi mandi un suo superiore, subito!” era tornato a gridare, ma la dottoressa non sembrava impressionata, incrociò le braccia al petto:
“Quando avrà finito con questi farneticamenti potremmo iniziare la terapia, poi verranno a visitarla per le protesi” il tono era deciso e severo.
“Gliel’ho già detto dove può ficcarsi le sue protesi” replicò, ma un pensiero insistente lo distraeva e non riuscì ad inveire come avrebbe voluto.
Lunghe gambe, snelle e tornite, scarpe rosse, tacchi vertiginosi, bottiglie, una cravatta buttata in terra accanto a una borsetta di pelle nera lucida.
D’un tratto ebbe voglia di un drink, qualcosa di forte, si prese ancora la testa tra le mani, mentre un paio di labbra rosse di rossetto gli sorridevano nella mente.
Alzò gli occhi e vide delle labbra altrettanto sensuali, ma tese in una smorfia. Cercò di trattenere il ricordo, che scappò via veloce, mentre la donna lo fissava in uno strano modo. I loro occhi rimasero incollati per alcuni istanti, poi Jonas si riscosse:
“Voglio sapere di Jackson” chiese.
Si fece avanti il poliziotto:
“Era il tuo compagno, eravate una squadra… la mia squadra” tirò fuori dalla tasca interna della giacca una foto. Jonas sentì il corpo sussultare alla vista di occhi luminosi, un sorriso gentile, un ragazzotto pieno di vita. In un attimo flash di gomitate e battute, di serate nei bar e di lunghi appostamenti per lavoro. Era suo amico, se lo ricordò e una rabbia sorda lo afferrò ancora:
“Lo sapevo! Che cazzo mi fate ricordare a fare questa merda! Lasciatemi in pace, voglio tornare a casa mia!”
Il poliziotto sembrò imbarazzato, la dottoressa si fecce avanti, ma prima che riuscisse a bloccarlo l’uomo disse:
“Tu non hai una casa, non più”
Ormai anche Jonas vuole ricordare,come procediamo?
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